- Franco Stefanini
Costretti a migrare per potersi curare

C'è un esodo silenzioso, di cui nessuno parla mai: migliaia di valigie che si chiudono, quasi sempre fagocitando, con vestiti ed effetti personali, buste in carta o plastica zeppe di referti ed esami clinici. La sofferenza mista a speranza viaggia su gomma o su rotaia.
Se sei nato in un posto dove la sanità funziona male o dove le liste d'attesa per una qualsiasi visita sfiancherebbero la pazienza di Giobbe, tutto quello che puoi fare è metterti in viaggio.
Così cerchi di raggranellare dei soldi (perché di soldi ne servono e anche parecchi), chiudi casa e te ne vai, spesso senza neppure sapere per quanto tempo. Al lavoro di solito non la prendono benissimo: vagli a spiegare che è una faccenda seria, che da quel viaggio può dipendere la tua salute, o quella di tuo marito, di tua mamma o magari del tuo bimbo di otto anni.
In Italia, i cosiddetti migranti sanitari sono 1.400.000. Tra loro 750.000 malati e 650.000 accompagnatori. Una massa impressionante di gente in movimento. I loro percorsi tracciano la geografia di una sanità a sbalzo. Ci sono montagne e burroni. Ci sono poli d'eccellenza, stimati in tutta Europa, ma ci sono anche ospedali dai quali, se puoi, scappi.
La rotta più battuta è quella Sud-Nord: ogni anno i nosocomi settentrionali ricevono 218mila pazienti dal Mezzogiorno. Dalla sola Campania partono 56mila persone. Le mete più ambite sono Milano, Genova, Bologna, Padova, ma anche realtà del centro come Firenze, Roma e Siena. Sarebbe semplicistico e ingiusto disegnare una mappa rigidamente spaccata a metà. Al Nord vi sono situazioni da film horror, così come al Sud esistono casi di buona sanità, a volte particolarmente meritori proprio perché fioriti in un terreno impervio. La tendenza generale, però, deve far riflettere.
Chi sono questi migranti della salute?
Da che cosa fuggono e che cosa cercano?
Il 54% di loro sono pazienti oncologici, pediatrici, cardiopatici o malati cronici, che partono sperando di trovare cure migliori. Nei casi restanti, spesso pesano i tempi d'attesa biblici. L'impatto economico è pesante e non certo alla portata di tutti.
Si stima, ad esempio, che un paziente oncologico, tra viaggi, visite private e assistenza infermieristica, spenda in media 7.000 euro per le cure fuori sede. Poi bisogna aggiungere i costi per i giorni di lavoro persi. Quest'ultimo problema ricade anche sugli accompagnatori, che sono in maggioranza donne.
A far luce sul drammatico fenomeno dei migranti sanitari è una ricerca recentemente condotta dal Censis per CasAmica Onlus. Da più di trent'anni questa associazione offre alloggio, a costi sostenibili, ai malati e alle loro famiglie.
Fonti:
La Stampa
Il sole 24 ore
Censis
CasAmica
#cambiareospedale #tutelareildirittoallasalute #francostefaninicontroglierrorimedici #dannomedicocomeagire